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Il Sole 24 Ore commenta una sentenza ottenuta dallo Studio Logrillo

La Corte di Appello di Milano ha accolto la domanda di nullità della sentenza, inoltrata dall’avvocato Valeria Logrillo in relazione alla testimonianza di un minorenne in assenza del legale dell’imputato in processo penale.

Il Sole 24 Ore del 5 ottobre 2022 si è occupato della pronuncia che formula un principio importante sul diritto alla difesa in processo.

 

Minore sentito come teste, in assenza del fiduciario dell’imputato, in “zona rossa”: sentenza nulla

di Laura Biarella
05 Ottobre 2022 Leggi su Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 

La Corte d’Appello di Milano (Sez. I Pen., 20.07.22) ha annullato la pronuncia del Tribunale di Lodi (Comune ricadente in “zona rossa” all’epoca del processo) nel corso del quale era stata escussa una minorenne in assenza del legale di fiducia dell’imputato: il procedimento avrebbe dovuto essere rinviato ex art. 10, c. VII, d.l. n. 9/20, anche in accoglimento della domanda formulata dal difensore nominato dal giudice (ex art. 97 c. IV c.p.p.), al fine di consentire l’escussione della teste dell’accusa in presenza dell’avvocato di fiducia dell’imputato
La celebrazione del processo in zona rossa

Un uomo era stato giudicato responsabile per delitti legati ai maltrattamenti in famiglia, con condanna a due anni e sei mesi di reclusione, oltre risarcimento dei danni cagionati alla parte civile. Lo stesso proponeva appello avverso la sentenza di prime cure, peraltro deducendone la nullità assoluta (ex art. 178, c. I, lett. c) e 179 c. I, codice di rito penale) in quanto, nonostante fosse nel frattempo intercorsa la vigenza del d.l. n. 9/20 che sospendeva, a causa dell’emergenza pandemica, la celebrazione delle udienze in zona rossa (a eccezione dei processi caratterizzati da urgenza) il Tribunale, nella specie, aveva deciso di assumere comunque una teste (minorenne) dell’accusa, in assenza del difensore di fiducia, e senza concedere un rinvio a breve, come richiesto dal difensore nominato ex art. 97, c. IV, c.p.p.

L’escussione nonostante l’assenza del legale di fiducia

La sentenza è stata dichiarata nulla ( Corte Appello Milano, Sez. I Pen., 20.07.22 ) con rinvio degli atti al Tribunale: il giudice di prime cure, valutando sussistente il carattere dell’urgenza (ex art. 10, c. XI, d.l. n. 9/20) nel procedimento in parola, aveva proceduto ad assumere la testimonianza di una minorenne in assenza del difensore di fiducia dell’imputato , ignorando l’istanza di rinvio formulata dal legale nominato come sostituto dal giudice.

Ancor più in dettaglio, lo stesso giorno in cui il giudice assumeva, con ordinanza, tale decisione, entrava in vigore il d.l. n. 9/20, il cui art. 10 (recante “Misure urgenti in materia di sospensione dei termini e rinvio delle udienze processuali”), al c. VII, disponeva che i procedimenti penali da celebrarsi presso i Tribunali dei comuni in “zona rossa” fossero rinviati ex ufficio a data successiva al 31 marzo. L’art. 10, al c. XII, stabiliva invece che le disposizioni di cui ai c. dal VII al X non si applicassero ai procedimenti relativi alla convalida dell’arresto e del fermo, con imputato detenuto, internato, in stato di custodia cautelare, e ai processi aventi profili d’urgenza o relativi a imputati minorenni.

Il riferimento all’art. 132 bis disp. att. c.p.p.

Il Tribunale aveva ritenuto che il procedimento de quo rivestisse carattere d’urgenza in ragione della materia trattata, cioè i delitti di maltrattamenti in famiglia posti in essere in presenza di minore, violenza sessuale e lesioni personali, fattispecie rientranti nel novero dei procedimenti a priorità legale ex art. 132 bis disp. att. del codice di rito (il quale elenca le situazioni in cui è assicurata la priorità assoluta nella formazione dei ruoli e nella trattazione dei processi), e per i quali dovesse essere assicurata la priorità, e ritenuto che, in concreto, l’adempimento previsto per l’udienza di audizione di un minore degli anni 18, testimone dei maltrattamenti in parola, rivestisse carattere di assoluta indifferibilità. La minore era stata ritenuta persona di particolare vulnerabilità ex art. 90 quater codice di rito : se da un lato tale circostanza giustificava l’applicazione dell’escussione con modalità protetta, dall’altro imponeva al Tribunale di adottare le accortezze per limitare il disagio indotto alla minore, tra cui quello di dover fare ritorno nelle aule di giustizia per un nuovo e identico incombente.

L’insussistenza dell’assoluta indifferibilità dell’audizione

La Corte d’appello non ha condiviso il richiamo operato dal Tribunale all’art. 132 bis disp. att. del codice di rito penale, utilizzato per sostenere l’urgenza del procedimento (di cui all’art. 10, c. XI, d.l. n. 9/20) in quanto, in tal caso, tutti i procedimenti a trattazione prioritaria avrebbero “potuto e dovuto” essere trattati, con evidente frustrazione della ratio del rinvio d’ufficio, previsto dal legislatore, in ragione della situazione emergenziale.

Il carattere di assoluta indifferibilità dell’incombente, trattandosi di audizione di minorenne testimone di maltrattamenti , non è risultato condivisibile in ragione dell’imminente raggiungimento della maggiore età della testimone, cioè tre settimane dopo l’udienza: detta circostanza, per la Corte d’appello, affievolisce in modo rilevante le esigenze evidenziate dal primo giudice e non consente di ritenere l’incombente (già all’epoca “prevedibilmente rilevante” sotto il profilo probatorio, stante la relazione di convivenza e filiazione della testimone coi protagonisti) assolutamente indifferibile.

Pertanto, a dir del giudice di seconde cure, il processo avrebbe dovuto essere rinviato ex art. 10 c. VII, d.l. n. 9/20, anche in accoglimento dell’istanza formulata dal legale nominato ex art. 97 c. IV c.p.p., finalizzata a consentire l’escussione della teste dell’accusa con la partecipazione del difensore di fiducia dell’imputato.

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Violenza sulle donne, un articolo di Valeria Logrillo

L’avvocato Valeria Logrillo, esperta di diritto penale, ha pubblicato un intervento su L’Edicola del Sud nel quale si occupa delle diverse letture possibili del fenomeno della violenza sulle donne.

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Essere falsamente accusati: È violenza anche quella?

Abbiamo letto tantissimi articoli che hanno celebrato, lo scorso 25 novembre, con la giusta enfasi, la giornata internazionale per la lotta alla violenza contro le donne e ogni giorno il tema viene associato alle situazioni più disparate: dalla giornalista molestata, alle pazienti dell’ormai troppo noto ginecologo barese.

Nonostante gli sforzi che parte delle forze politiche, associazioni di categoria ed enti pubblici hanno profuso per tutelare le donne, il cammino, seppur tracciato, è ancora lungo e insidioso.

Il problema della violenza sulle donne infatti ha le sue radici in una cultura spiccatamente maschilista. Non ammetterlo prima di affrontare l’argomento sarebbe disonesto. 

I movimenti culturali, le nuove leggi (abbiamo dovuto aspettare la legge 66 del 1963  per l’ammissione delle donne al concorso in Magistratura) hanno portato, nel corso del tempo, sempre più il problema all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica.

Tuttavia la cultura maschilista, l’antica concezione di inferiorità della donna, opera tutt’oggi con vigore e non dirlo sarebbe altrettanto disonesto. Le donne lo sanno. Lo sanno, lo vivono e lo subiscono anche quando nessuna violenza fisica o psicologica viene esercitata, lo sanno quando vengono sminuite o zittite, oppure quando affrontano tutti i problemi connessi al mondo del lavoro e alla maternità. 

Alle premesse appena formulate se ne deve aggiungere un’altra: le vittime di violenze e abusi meritano la più ampia tutela, da parte di chiunque, pertanto, anche per non rischiare che vengano confuse con situazioni diverse, è oggi doveroso spiegare l’esistenza di un’altra realtà e di altre vittime: gli uomini falsamente accusati.

L’interesse dell’opinione pubblica, la nascita di numerosi centri antiviolenza, l’impegno di personaggi pubblici che si spendono (in buona fede) sul tema,  l’intervento del legislatore – che si è attivato, non troppo tempo fa, con il così detto ‘codice rosso’ e che ora valuta il superamento della denuncia in caso di maltrattamenti – ha tuttavia contribuito ad avviare un fenomeno di strumentalizzazione delle norme volte a garantire le vittime in assenza di effettive violenze.

Violenza sulle donne ma anche sugli uomini

Nel 2012 una equipe dell’Università di Siena ha effettuato una “indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile” su un campione di uomini tra i 18 e i 70 anni. La metodologia utilizzata dagli autori è la stessa applicata dall’Istat nel 2006 per la raccolta dei dati sulla violenza contro le donne. 

Dalle proiezioni della ricerca è emerso che nel 2011 sarebbero stati oltre 5 milioni gli uomini vittime di violenza femminile configurata in minaccia di esercitare violenza, graffi, morsi, capelli strappati, lancio di oggetti, percosse con calci e pugni. Oltre 2 milioni e mezzo sarebbero gli uomini che hanno subito atti persecutori da parte di una donna nel corso della loro vita.

Molto inferiori, a differenza della violenza esercitata sulle donne, sono gli atti che possono mettere a rischio l’incolumità personale e portare al decesso.

Le donne uccidono o sono autrici di gravi lesioni fisiche in percentuale assai ridotta, ma sembrano essere esperte in forme di violenza psicologica ed economica che sono state così riassunte: 

  • insulti e umiliazione;
  • minaccia di chiedere la separazione, togliere casa e risorse, ridurre in rovina, minaccia di portare via i figli, minaccia di ostacolare  o impedire i contatti con i figli; 
  • critiche a causa di un impiego poco remunerato, paragoni irridenti con persone che hanno guadagni migliori; 
  • denigrazioni a causa della vita modesta consentita alla partner; 
  • critiche per difetti fisici; 
  • distruzione, danneggiamento di beni, minaccia di suicidio o di autolesionismo.

I numeri dimostrano che il fenomeno ha raggiunto proporzioni macroscopiche, tanto che sul riconoscimento di questa emergenza convergono operatori di diverse aree coinvolte: Polizia, Magistratura, Avvocatura, Neuropsichiatria, Psicologia, Criminologia. La rete permette di consultare un documento, reperibile a questo link sul sito del Senato, in cui si legge che: “vittime di stupri e/o percosse non possono essere messe sullo stesso piano della persona che si morde le labbra e corre in ospedale a denunciare l’ignaro ed incolpevole ex partner. Magari con l’avallo di servizi sociali conniventi, che hanno costruito un muro di indifferenza sul dramma sociale delle false accuse”. 

Nel documento si afferma in premessa che “Gli studi sulle problematiche della separazione denunciano, da circa 16 anni, un uso strumentale della carta bollata: l’utilizzo della denuncia per violenza di varia natura, pianificata per raggiungere obiettivi diversi da quelli dichiarati. Può essere un’arma di ricatto per ottenere vantaggi economici, uno strumento per allontanare il “nemico” dai figli con accuse costruite ad arte, una rivalsa per il piacere di vedere l’ex in rovina. Quale che sia lo scopo occulto, è ben lontano dall’essere una reale tutela per l’incolumità di chi denuncia. Anche se non esiste una concreta situazione di rischio, è utile costruirla: garantisce risultati certi, da 30 anni, invariabilmente. Gli approfondimenti sulle false accuse in ambito separativo dicono che il soggetto abusante, nella maggior parte dei casi, non esiste affatto.”

Ed ancora le dichiarazioni confluite nel documento sono ancor più lampanti: «I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni…», «…è appurato che le versioni fornite dalle presunte vittime sono gonfiate ad arte. Solo in 2 casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri, il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione…». «una tiratina d’orecchi ai centri antiviolenza, che istigano a denunciare senza fare la dovuta azione di filtro, ma poi si disinteressano di come va a finire…». Carmen Pugliese, Sostituto Procuratore c/o Trib. di Bergamo – inaugurazione anno giudiziario 2009, previa autorizzazione del Proc.Gen Addano Galizi, 29/1/2009. 

Ne parlano i magistrati, ne parlano i sostenitori della Pubblica Accusa, con onestà intellettuale e forti delle esperienze vissute e dei fascicoli esaminati con attenzione, animati dalla sola ricerca della verità e non della tutela a ogni costo della donna denunciante. 

Il processo per violenza sulle donne

Il processo penale è un luogo in cui la giustizia deve essere esercitata – non strumentalizzata – nell’interesse del popolo e di tutte le parti coinvolte, eppure spesso non è così, si celebrano processi che durano anni per scoprire – quando si è fortunati – che quell’uomo era innocente, perché ci vuole tempo e risorse per riuscire a portare alla luce il clima ritorsivo in cui erano sorte le accuse, per far emergere le contraddizioni, per analizzare tutti i certificati medici che spesso sono rappresentativi non di quanto obiettivamente refertato, ma solo di quanto riferito. Ma non sempre si riesce a spiegare e dimostrare che – contro ogni cliché – anche le donne, instaurando processi infondati, esercitano un’inaudita e spesso impunita violenza. 

Il 20 novembre Juana Cecilia Hazana Loayza è stata uccisa a coltellate in un parco di Reggio Emilia dal suo ex che aveva in precedenza denunciato. Dobbiamo chiederci, onestamente, quante possibilità in più di salvare la vita di quella – o altre donne – ci sarebbero, se la Magistratura e gli agenti di polizia giudiziaria, non fossero costantemente costretti a occuparsi e portare avanti migliaia di denunce falsamente sporte contro ex mariti ed ex fidanzati?

Avv. Valeria Logrillo

Foto di Engin Akyurt da Pixabay

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Valeria Logrillo
finalista
al Top Legal Award per il diritto penale

Valeria Logrillo è stata nominata tra i finalisti del premio di Top Legal  come studio emergente nel diritto penale.

Si conferma l’attenzione degli editori di settore per lo studio legale Logrillo, boutique milanese concentrata nel diritto penale d’impresa. 

La qualità dei clienti seguiti e del lavoro svolto per loro, ha consentito allo studio di consolidare la propria reputazione e di imporsi all’attenzione dei media e delle giurie che assegnano annualmente gli award.

Valeria Logrillo è tutt’ora considerata una emergente nonostante alle spalle possa vantare una esperienza più che decennale di processi importanti, condotti in autonomia o al fianco di grandi penalisti.

Nella gestione della clientela, formata da medie e grandi imprese caratterizzate da un management giovane e dinamico, lo studio Logrillo ha impostato prassi efficaci che consentono al cliente di affidarsi con fiducia alle strategie di prevenzione delle condotte penalmente rilevanti.

Sempre più numerosi sono gli eventi in cui Valeria Logrillo è chiamata come formatrice in materia di responsabilità amministrativa degli enti (D.lgs.231/01).

In questo ambito lo Studio propone un modello didattico tecnico e pratico, ricco di esempi concreti e casi giurisprudenziali tagliati e personalizzati sul bussiness aziendale.

I corsi coinvolgono il management e i quadri e riscuotono notevole interesse e apprezzamento.

In sede di difesa giudiziale, Valeria Logrillo ha sempre mostrato la tempra e la competenza necessaria a gestire ogni fase, anche la più delicata, in ogni grado del processo.

Profilo di Valeria Logrillo

Diplomata nel 2005 presso il Liceo Scientifico “Marie Curie” di Monopoli ha conseguito nel 2010 la Laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari, con votazione di 110/110 e lode, plauso della commissione e invito a proseguire gli studi accademici.

La tesi sperimentale presentata nella materia di Diritto Processuale Penale portava il titolo «Iura novit curia», relatore prof. Vincenzo Garofoli. La tesi è stata pubblicata in estratto come voce della Enciclopedia Treccani col titolo «La diversa definizione del fatto nel giudizio di cassazione e il metodo del contraddittorio».

Durante il corso di laurea ha aderito al progetto Erasmus che ha svolto presso la Universitat de les Illes Baleares (Palma di Mallorca, Spagna – febbraio/giugno 2008).

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