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Difetto di coordinamento tra Riforma Cartabia in materia penale e proposta di modifica al Codice degli Appalti – Valeria Logrillo su L’Edicola del Sud

La speranza di un intervento di armonizzazione tra Codice degli Appalti e Riforma Cartabia

Lunedì 30 gennaio 2023

La scelta dell’imprenditore di adeguarsi al d.lgs. 231/01, nonostante l’assenza di un obbligo normativo, mediante la predisposizione di un Modello di Organizzazione Gestione e Controllo e l’istituzione di un Organismo di Vigilanza è dettata da più ragioni, come insegnano i sondaggi condotti in questa materia; poiché, accanto all’aspettativa di creare un sistema di esonero della responsabilità della società in caso di contestazione di un reato commesso nel suo interesse e/o a vantaggio, vi è la consapevolezza che l’adozione di questo insieme di strumenti avvantaggi l’ente che partecipa agli appalti, mediante un apposito punteggio che le stazioni appaltanti assegnano a chi se ne è dotato.

Considerato che, nella prassi, l’imprenditore è conscio che lo sforzo di adeguamento al d.lgs. 231/01 non lo metterà totalmente al riparo da un accertamento dibattimentale dell’idoneità del Modello adottato, la valorizzazione dell’adeguamento in altre sedi lo incentiva a intraprendere questo percorso di compliance, spesso unitamente ad altre certificazioni ad adesione volontaria che contribuiscono ad attestare le buone pratiche aziendali o una delle misure di self-cleaning che può essere attuata, ai sensi del nuovo art. 96 del Codice degli appalti, anche in corso di procedura.

La proposta di modifica al Codice degli appalti giunge mentre gli operatori del diritto si trovano a fare i conti con una riforma (Cartabia) che, stravolgendo numerosi istituti del diritto penale e processuale e limitando gli effetti extrapenali dei provvedimenti, necessita di una rivoluzione culturale e di un differente approccio, da parte di tutti gli attori, alle indagini prima e al processo penale poi.

La riforma si muove su intenti accelerativi e garantistici ed è volta – tra gli altri obiettivi – ad annullare gli effetti dell’iscrizione di una notizia di reato e finanche di una sentenza di patteggiamento sul piano civile, amministrativo e disciplinare.

Ed infatti, proprio per garantire la neutralizzazione degli effetti extra-penali in malam partem, è stato inserito il nuovo art. 335 bis nel codice di procedura penale rubricato «Limiti all’efficacia dell’iscrizione ai fini civili e amministrativi», secondo cui la mera iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito.

Con riferimento al patteggiamento, in attuazione della previsione della legge delega volta a «ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi» è stato introdotto il comma 1 bis all’art. 445 c.p.p. che ne vieta l’efficacia e l’utilizzo a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari, amministrativi e per l’accertamento della responsabilità contabile. Il tutto anche se l’accordo pattizio è stato raggiunto dopo la chiusura del dibattimento.

È del tutto evidente che le modifiche, seppur operate all’interno delle norme processual-penalistiche, hanno una portata e un’efficacia extra-penale di cui la riforma al codice degli appalti in discussione (e illustrata negli altri elaborati della pagina) sembra non tenere conto, remando in direzione opposta a quella nitidamente tracciata dalla riforma Cartabia, nella misura in cui si fa riferimento alla “contestata o accertata” commissione di uno dei reati previsti dal d.lgs. 231/01 che potrà integrare illecito professionale e condurre all’esclusione della società dalla gara.

E, dunque, mentre ci si aspetterebbe un intervento volto ad armonizzare le regole attuali e quindi ad eliminare il riferimento dal vigente codice degli appalti della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ci si trova invece a commentare una norma che aggrava gli effetti extra penali anticipandoli a provvedimenti di esercizio dell’azione penale con ogni temibile conseguenza per le imprese.


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modello organizzativo adottato

La valutazione del Modello: la ritenuta inidoneità delle cautele organizzative adottate da DHL

La valutazione del modello organizzativo adottato

Martedì 13 dicembre 2022

La volontà del legislatore di creare, mediante l’ingresso della responsabilità amministrativa degli enti, un sistema virtuoso che incentivasse le imprese ad autoregolamentare la loro attività per scongiurare il rischio di commissione di condotte illecite – sia mediante la dotazione di un Modello  di Organizzazione Gestione e Controllo sia mediante l’istituzione di un Organismo di Vigilanza – creava una giusta aspettativa all’imprenditore che aveva diligentemente seguito tali indicazioni mediante un (ulteriore) sforzo organizzativo ed economico. Le statistiche che si sono formate, anche in occasione del recente ventennale dall’introduzione della norma, mostrano come tali aspettative siano state deluse.

Nei casi – non troppo numerosi – di contestazione all’ente ai sensi del d.lgs. 231/01 è stato il dibattimento il luogo in cui ci si è trovati a discutere dell’applicabilità o meno dell’esimente. Tale logica pare distorta perché, nella maggioranza dei casi, a seguito delle indagini il pm possiede gli strumenti per valutare la sussistenza o meno della colpa di organizzazione e procedere quindi all’archiviazione della posizione mediante decreto motivato ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. 231/01. È proprio in questa sede che, nel caso in commento, i pm milanesi hanno, tra le altre considerazioni (per il cui commento si rimanda agli altri contributi), effettuato alcune valutazioni in ordine al Modello organizzativo e alla sua attuazione da parte dell’ente.

La società indagata ai sensi del d.lgs.231/01 per la commissione del reato presupposto di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000, destinataria dell’archiviazione, aveva implementato un sistema di organizzazione nel 2013 (aggiornato negli anni 2017 e 2019) e aveva istituito un Organismo di Vigilanza; il Modello prevedeva uno specifico protocollo relativo alla “Gestione dei rap- porti con consulenti e fornitori di beni/servizi acquisti di consulenze – Acquisti di beni e servizi” prevedendo tra i rischi rilevanti individuati il “reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari”.


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organismi di vigilanza

I rischi connessi all’attività degli Organismi di Vigilanza – Valeria Logrillo su L’Edicola del Sud

L’articolo dell’avv. Valeria Logrillo su L’Edicola del Sud

Quali i rischi connessi all’attività degli Organismi di Vigilanza istituiti ai sensi del d.lgs. 231/01?

25 Novembre 2022

 

Gli esperti del settore hanno a lungo discusso in ordine alla possibilità che si configurasse in capo all’Organismo di Vigilanza una responsabilità di carattere penale nel caso di illeciti dell’ente commessi in conseguenza al mancato esercizio del potere di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello (una responsabilità a titolo di concorso omissivo). Tale impostazione è stata fortunatamente ridimensionata e accolta la tesi (che si rinviene anche nell’ultima versione delle Linee Guida di Confindustria) per cui non si può pretendere che in capo all’OdV vi sia un dovere di attivazione per impedire il compimento del fatto di reato.

Nonostante tale approdo non si può – e non si deve – ridimensionare il delicato compito di chi è chiamato a svolgere, in forma monocratica o collegiale, il ruolo di Organismo di Vigilanza.

Come spesso accade, i principali rischi si verificano quando dalla fase di equilibrio si passa alla fase patologica. La contestazione di un reato ai sensi del d.lgs. 231/01 – che non presuppone di per sé la commissione del reato né un deficit organizzativo – comporta l’avvio di un difficile iter per la società che dovrà trovarsi a organizzare una difesa e nel mentre a tutelare il suo business e, non ultima, la sua reputazione.

In questa fase centrale è il ruolo dell’Organismo di Vigilanza, sia perché l’attività che avrà diligentemente posto in essere (e correttamente documentato) fino a quel momento sarà passata sotto la lente di ingrandimento delle indagini sia perché l’esercizio dei suoi compiti è elemento imprescindibile per la tanto sperata esimente.

L’Organismo di Vigilanza potrà essere sentito come testimone (dell’accusa e/o della difesa) nel processo penale o, ancora prima, escusso a sommarie informazioni testimoniali dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria ovvero a investigazione difensive dal difensore.


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Il ruolo del professionista durante la crisi e il rapporto tra Organismo di Vigilanza e società

In questi giorni particolarmente complessi, in cui moltissimi perdono il lavoro e molti altri si ingegnano per trovare una soluzione che lo impedisca, il mondo, con tutte le sue regole, al netto di quelle espressamente sospese, va avanti.

Va avanti per tutti, va avanti perché continuano a presentarsi gli infortuni di lavoro che si verificavano anche prima, va avanti perché le tutele nei confronti dei lavoratori in questo momento devono essere rafforzate e non compresse.
Quindi, non solo occorre fronteggiare la crisi economica ma, in alcuni casi, assicurare una parte di produzione perché ritenuta necessaria ed essenziale dal Governo.

Mentre le difficoltà aumentano, mentre si impone una riorganizzazione e uno sforzo che coinvolge tutti, dagli operai, a chi effettua le pulizie e le sanificazioni, agli amministratori delegati, molti dei quali in prima linea e non comodamente accomodati sul divano, giunge la comunicazione dell’Organismo di Vigilanza che ha necessità di valutare se le misure di prevenzione per il rischio di contagio da Covid-19 siano state efficacemente attuate dal Datore di Lavoro.

«Quando è troppo è troppo!», può lecitamente sbottare l’imprenditore. Non è difficile immedesimarsi e pensare che non sia il caso di infastidirlo anche con queste incombenze.

Questa soluzione potrebbe apparire logica mentre invece è semplicistica e dannosa, in primo luogo per l’impresa stessa.

Cosa accadrebbe infatti se le misure di prevenzione non venissero attuate o lo fossero in modo incompleto e un dipendente si ammalasse o peggio morisse a causa dell’ormai noto virus?

Purtroppo, se la malattia o la morte dovessero verificarsi a seguito di violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni – e malattie – sul lavoro e se dovesse ritenersi che tanto sia avvenuto “nell’interesse o a vantaggio dell’ente”, per risparmiare in ordine ai costi derivanti dall’acquisto dei Dispositivi di Protezione Individuale ovvero per consentire il mantenimento dei livelli produttivi, si incorrerebbe non solo nella violazione degli articoli 589 e 590 c.p. ma anche del 25 septies del d.lgs. 231/01 per “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”.

Per queste ragioni andrebbe accolta di buon grado la comunicazione dell’Organismo di Vigilanza, così come il materiale illustrativo che eccellenti studi legali hanno pubblicato e messo a disposizione di tutti (ci si riferisce al materiale pubblicato dallo Studio LCG e generosamente condiviso sui social).

Per le stesse ragioni bisogna cogliere positivamente gli spunti di chi ricopre questo ruolo da molti anni.

Penso a quanto afferma una esperta di livello nazionale nel diritto ambientale, socio fondatore e componente del Consiglio Direttivo di AODV, che affida a LinkedIn una intelligente riflessione:

«in questi giorni si capisce in quali contesti il Modello 231 sia uno strumento effettivo e in quali invece un sistema formale o comunque ‘burocratico’, cui sono dedicate risorse in surplus che, in emergenza, si tagliano de facto. È sintomatico il rapporto con l’Organismo di Vigilanza».

Avv. Mara Chilosi, fondatrice dello studio legale Chilosi Martelli, Milano su Linkedin

La casistica come sempre è variegata: «Alcune aziende lo dimenticano e, se sollecitate ad un confronto, danno segni di irritazione, altre ne richiedono spontaneamente e fortemente la presenza, senza peraltro stravolgere – questa è la mia esperienza – la “dogmatica” delle relazioni”».

E la riflessione finale è quella che deve smuovere ciascuno, perché come suggerisce saggiamente e provocatoriamente la Collega: «Chi di noi fa parte di OdV deve mettersi davanti allo specchio e decidere come esercitare il proprio ruolo».

Proseguire nel lavoro di ogni giorno, anche se chiusi in casa, contattare le imprese, proporre interviste a distanza durante le riunioni dell’OdV, invitando il datore di lavoro o all’RSPP ovvero altre figure appartenenti al cosiddetto organigramma in materia di salute e sicurezza, può essere utile e prevenire situazioni in astratto dannose per il Datore di lavoro e per altre funzioni aziendali.

In questi momenti, così come in tutte le crisi, è determinante l’approccio e la comprensione nei confronti del prossimo, occorre mantenere lucidità, restare ancorati al proprio ruolo ma saper tendere la mano ed agire in modo efficiente e pragmatico.