Chi vuole fare (ancora) l’avvocato?
di Giuseppe Salemme
L’avvocatura italiana sta effettivamente rischiando di lasciare indietro una generazione?
Su Reddit, social network molto popolare nei Paesi di lingua inglese, gli utenti hanno creato una sezione chiamata “lost generation”, che conta quasi 400mila iscritti, principalmente millennials e gen-Z. L’espressione “generazione perduta” vorrebbe riferirsi a tutti quei giovani a cui le circostanze storiche ed economiche precludono l’ingresso nel “mondo dei grandi”. Fu resa celebre da Hemingway, che la usò in riferimento ai ragazzi costretti a combattere nelle trincee della Prima guerra mondiale. Mentre il parallelismo cercato dagli utenti del social (fatte le debite proporzioni) sarebbe quello con una generazione cresciuta in un’epoca segnata da crisi economico-finanziarie, ambientali e sanitarie, e in un mondo in cui la forbice delle disuguaglianze, sempre più larga, toglie spazio a quei giovani in cerca di un’opportunità per farsi valere e trovare il proprio posto nel mondo. La bio del gruppo in questione recita: “Abbiamo fatto tutto quello che ci è stato detto di fare… e ora?”
L’avvocatura italiana sta effettivamente rischiando di lasciare indietro una generazione? In parte forse sì.
Eppure, osservando attentamente l’evolversi del mercato è facile rendersi conto che, anche al di fuori delle “gabbie dorate” dei grandi studi, lo spazio per chi ha idee e progetti esiste: a testimoniarlo è il successo di quegli avvocati che decidono ancora oggi, nonostante tutto, di mettersi in proprio. E che riescono, grazie a modelli innovativi, all’abilità nell’anticipare le tendenze del mercato, o alla conoscenza della propria clientela, a ritagliarsi uno spazio per crescere e svilupparsi. E così trasformare una potenziale “generazione perduta” in un esempio per gli avvocati di domani.
Lo Studio Legale Logrillo, boutique penalistica dell’avvocata Valeria Logrillo.
Pugliese, dopo essersi formata negli studi di professionisti come Michele Laforgia e Giulia Bongiorno, a 30 anni ha scelto di mettersi in proprio. Attribuisce i risultati ottenuti dal suo progetto professionale a due fattori principali: «Sono cresciuta con la fame di assorbire il più possibile dai professionisti che avevo intorno; e già a 23 anni avevo voglia di farmi valere in questo mestiere. In più, ho voluto provare a svecchiare un po’ l’immagine del penalista. Basta con tutte quelle spese ‘di rappresentanza’; ai miei collaboratori fornisco un PC portatile e la flessibilità per lavorare da dove si vuole. Questo ci rende una macchina leggera e flessibile, e il cliente oggi lo apprezza», spiega l’avvocata.
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